di Bruno Nacci
di Andrea Erelli
di Alan Bigiarini
Emma Pretti ha già una carriera poetica alle spalle – ma “carriera” è un concetto burocratico: in realtà un(a) poeta si ripresenta sempre di nuovo in ogni suo singolo libro.
I giorni chiamati nemici descrive un paesaggio quotidiano che però è al tempo stesso – se non proprio una regione di dissimilitudine – almeno un paesaggio non ovviamente riconoscibile. Un paesaggio che si deduce italiano per la vivace presenza di alcuni termini dialettali (dunque, regionalizzato): rurale e in certo senso post-urbano, con qualche tocco da racconto nero. Al suo interno parla una voce che appartiene a un personaggio-io (ma le voci sembrano essere più d’una): il personaggio è costantemente tentato di abbandonarsi alla tenerezza verso gli altri, verso le cose – e per fortuna cede spesso a questa tentazione – e non ha abbandonato la speranza. Ma c’è anche un’aspra resistenza all’«autoinganno», per cui le dichiarazioni d’amore si risvoltano spesso nel loro contrario (gli «innamorati fradici» risultano essere tacchini; e anche loro, forse, sono fradici soltanto di pioggia).
Tutto ciò è detto in un linguaggio che in generale è duramente chiaro, con qualche irruzione opportunamente demotica, e qualche torsione metaforica neobarocca che sembra echeggiare lo stile delle avanguardie protonovecentesche. La dubitosa interrogazione di Dio (una «preghiera scoscesa e pesta», gomito a gomito con momenti d’odio) non teme di usare la parola anti-moda, la parola evitata dalle teologie morbide: «peccato». Colpisce e rassicura, nelle poesie più forti di questa raccolta, il lieve aleggiare di una certa crudeltà.
(Paolo Valesio)