di Matteo Navone
Martino Capucci affermava: «il nostro Seicento resta uno sconfinato arcipelago che ha zone mal note o affatto inesplorate». Era come un invito a indagare un secolo, e un territorio, in movimento, inquieto e sgomento dove il rapporto intellettuale-potere tocca con mano le ambiguità, la corruzione ad ogni livello, dove «Il vivere e lasciar vivere è la politica più dolce per farsi benvolere, ma non è la buona per fare il giusto» (Federigo Nomi).
Un secolo e un territorio comunque alimentati da una profonda erudizione, enciclopedica ante litteram, “contaminata” nei generi letterari, che passa con disinvoltura da un accademismo vuoto, adulatorio, rituale a scritture e testi, degni della massima attenzione, illuminati dalla poesia, dalla ricerca, dalla sperimentazione, anche grazie al mecenatismo delle corti.
Questa raccolta di testi costituisce un “viaggio” culturale, tra la fine del ’500 e l’inizio del ’700, che tratteggia il vasto territorio aretino per nulla provinciale, appartato, immobile, con relazioni sorprendenti, anche con l’Europa erudita del tempo, grazie soprattutto ai «mediatori e promotori» Francesco Redi e Antonio Magliabechi.
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