Diario pressoché postumo, d’accorata denuncia morale, “Avviso ai naviganti” di Carlo Villa vuole salvare la scrittura che cerca se stessa, infondendole nuova vita, con blasfemia parallela agli storici scempi delle Torri Gemelle, delle stragi isisine di Parigi, Bruxelles e Nizza, lo sbriciolarsi dei viadotti assassini per la cupidigia dei pochi chiamati alla loro manutenzione e l’attuale Coronavirus imperversante.
E nel farlo evoca le vicende non meno laceranti che hanno colpito la nostra letteratura, ostracizzata dagli avvicendamenti lucrativi e dai mostruosi coniùgi editoriali di stampo non meno “talebano”: scomparsi dalle redazioni d’un tempo in modo irrecuperabile i Bazlen, i Calvino, gli Sciascia, i Vittorini e i Manganelli.
Uno scrittore quotato nella Borsa letteraria fino a tutti gli anni Settanta per sette titoli Einaudi, e altrettanti per Guanda, Feltrinelli e Scheiwiller, oggi ignorato da ben tre generazioni, viene colpito non meno subdolamente anche nel fisico, oltreché nella professione e negli affetti, dedica i suoi ultimi giorni a stilare un testamento impietoso che abbraccia col pubblico anche il suo privato, tramite una narrazione vissuta sempre dal di dentro della materia narrata, con un potenziale altamente poetico, ed espressivamente meditativo.
I referti medici e quelli editoriali non gli lasciano scampo, rendendo l’apologo di vivissima attualità: com’è sempre stato per i titoli di Carlo Villa, inutilmente presente nei cataloghi più prestigiosi, non solo italiani.
“Avviso ai naviganti” racconta un’intera vita dedicata allo scrivere, percorsa con risentita ironia e sarcasmo prospettico, da temerario kamikaze delle lettere; documento apocalittico e vivificante, mai integrato in un avamposto che descrive un’attualità sfattasi ormai senza scampo editorialmente per la poesia.