di Roberta Cavicchio
di Umberto Brancia
di Giuseppe Bonura
Nuova, allucinatoria puntata (dopo Agrità, Sotto la cresta dell'onda e Quel pallido Gary Cooper, editi per la stessa Società Editrice Fiorentina) di un'indagine altamente poliziesca sui nostri costumi-malcostumi socio-politico-letterari, anche questo struggente Caro dolce nessuno s'ascrive alla tipologia del giallo, per come le prove d'avvenuti delitti innumeri, sempre impuniti, vengono analizzate, indicandovi rei altrettanto numerosi, quanto le more di Shakespeare.
Del resto in Carlo Villa il risvolto giallo non è nuovo, a parte quel Morte per lucro (recentemente riscritto nell'ancora più inquietante La scrittura cerca l'assassino), perché anche negli einaudiani La nausea media, Deposito celeste, I sensi lunghi e L'isola in bottiglia, non sono esenti i percorsi ispettivi circa un animo indagato sempre dall'interno dei suoi tortuosi percorsi: addirittura pacelliani con il Pan feltrinelliano.
Con questo nuovo titolo Villa incalza le arroganze private quanto quelle pubbliche, vili ambedue in quanto prive di rischi, per diffusa omertà e deprimente assuefazione, nello schiacciare la virtù, sempre più irrisa in questo sconsolato stato di cose; e non fa sconti a nessuno il linguaggio impiegato dallo scrittore nel constatare fatti e misfatti d'uno sfilacciarsi globale privo di scampo.
L'invocazione del titolo, mutuato dal Little Nemo di Mc Cay (del pari quotidianamente tartassato da stillicidi più grandi del suo corpicino indifeso), vuole creare immedesimazioni a scuotere l'individuo periclitante perché superi la nera contingenza; e livre de chevet per pensieri sapidi volti a una riflessione proficua, lo si consiglia in famiglia e nelle scuole, ma soprattutto a ogni livello istituzionale, perché ogni caro, dolce nessuno abbia finalmente quella considerazione doverosa da delegati allo scopo, in pieno spirito d'un servizio, del resto profumatamente pagato per riscontri puntualmente disattesi:se solo questo fosse possibile e si facesse ancora in tempo a ottenerlo.