Gino Severini fu chiamato a Cortona, sua città natale, negli anni 1944-1946 dal vescovo della città per eseguire l’opera musiva della Via Crucis. L’artista accettò con entusiamo e con questa opera ha lasciato una grande testimonianza della sua umanità e della sua arte.
Gino Severini fu chiamato a Cortona, sua città natale, negli anni 1944-1946 dal vescovo della città per eseguire l’opera musiva della Via Crucis.
L’artista accettò con entusiamo e con questa opera ha lasciato una grande testimonianza della sua umanità e della sua arte.
Egli decide di non affollare le 14 Stazioni con i personaggi “secondari” che prendono parte al dramma di Cristo, ma si limita alla narrazione essenziale: poche figure come nelle sacre rappresentazioni popolari, fissate nei gesti e nelle espressioni più incisive. La visione è, a un tempo, ingenua e colta, semplice e pura.
La forza di certi modelli figurativi non sta tanto nel phatos che richiama il doloroso cammino di Cristo verso la Via Crucis, ma piuttosto nella chiarezza con la quale questi episodi sono espressi nel presente, con i nuovi linguaggi dell’arte, in una visione che supera il limite del tempo. La progressiva trasfigurazione del Cristo caricato della croce, o che cade sotto questo pesante strumento di martirio, è espressa con segni essenziali – con soluzioni geometriche e piani plastici ripresi da un cubismo liberamente interpretato da Severini – ma anche con un ritmo compositivo che è memore delle più significative soluzioni dinamiche futuriste e delle armonie suggerite dagli assemblages cubisti.
Le 14 Stazioni della Via Crucis – eseguite per richiamare l’attenzione dell’uomo sulla sofferenza di Cristo e sul significato del suo sacrificio – si ripropongono al di là delle contingenze della storia, eppur dentro esse, per gli uomini d’ogni luogo e d’ogni tempo.