Se l’esperienza è l’inizio d’ogni conoscenza, a rileggere quanto c’è pervenuto di Simonide, ecco lo spunto per riaccostarci all’attualità d’un Ulisside alla continua ricerca d’un’Itaca: fosse pure quella monetaria dell’Ellade odierna, divenuta colonia non meno tribolata dell’Olimpo Ue, dopo avere inventato l’uomo universale. Più volte visitato, sotto molteplici storture, in questa “Esperienza del nulla” di Carlo Villa, nuova puntata d’un energetico Giornale alla Eluard, com’ebbe a definirlo al suo primo apparire Giovanni Raboni: requisitoria irriverente sulle nequizie, stavolta anche degli stessi organi del suo autore, oltrechè di quelli a stampa e per video che lo scrittore romano affronta attraverso una materia verbale da 60 anni suo indomito untore: anche perciò assente sui palchi dei Festival e dei premi italici, per quanto intitolati alla cultura.
Si tratta d’un irregolare Gloucester, così preso dall’impegno d’averci perso anche lui la cavalcatura inforcata allo scopo, restando difficili i soccorsi invocati, proprio perchè così espressivamente significativi i richiami.
In Carlo Villa ancora una volta le chiuse e gli accapo dei suoi indignati Midrashim – stavolta è Claudio Magris ad averglieli individuati per tali – toccano i pessimi comportamenti d’ogni filibusta: fin da quella papalina di ieri, all’odierna intossicata Roma “mezzana”, affrontandone i conflitti diffusi e i degradi ambientali, gravati dall’acustica immedicabile d’un frastuono delinquenziale, nel quale lo scrittore si dibatte rigo dopo rigo da murato vivo, graffiandone il bastione cementizio, per quanto costui sia ormai giunto al suo ultimo respiro.
In questa “Esperienza del nulla” vengono commemorati affetti perduti e compagni di strada scomparsi, dei ben pochi superstiti segnalato il disimpegno sulla lotta delle virgole con le ragioni degli accapo: ultima notte d’una Warlock restia a sostenerlo nell’impervio percorso recuperativo d’una scrittura pervenuta anch'essa al default. Con ottimistica conclusione venendovi indicato che finchè esisteranno certi libri, nessuno potrà mai averla l’ultima parola, nella convinzione che sarà la sola scrittura consapevole a restare sempre storicamente attiva, forte di quanto Aristofane ne “Le rane”: “Ai bambini il maestro, la lezione ai poeti”: titolari d’ogni cosciente esperienza, come intuì anche Pasolini, voce pungente della tramontata consapevolezza collettiva, a 40 anni dalla sua immolazione.