di Andrea Kerbaker
di Marco Gottardi
Carlo Villa può considerarsi uno scrittore postumo, ed è indubbio che fin'ora s'è rivolto alle persone sbagliate, se la critica, senza motivi plausibili alla scrittura, se ne dimentica relegandolo a un indecifrabile silenzio: secondo l'amabile sconcerto manifestato dalla compianta Maria Corti.
Per far fronte a questo destino immedicabile, Villa, ancorché "quotato in Borsa", come sentenziò Einaudi nel lungo percorso comune, tenta d'ottenersi qualche dividendo attraverso titoli che analizzano una società ridottasi a grumo infetto, utilizzando un linguaggio carico e indignato. Valgano a dimostrarlo i recenti Nuda proprietà, L'ora di Mefistofele e Agrità (edito quest'ultimo dalla SEF). E anche Sotto la cresta dell'onda contiene un timbro espressivo costantemente vibrato nel farsi vaccino al recupero d'una sostanza umana, utilizzando l'eccesso di ottimismo proprio della poesia, intesa come dizionario d'un'esistenza sempre rinnovabile, percorrendo anche qui la politica e la cronaca, il pubblico e il privato all'indomani del conflitto verificatosi tra due millenarie culture in crisi di sopravvivenza.